In Apuane tra Puntato e Mosceta, dove vive l’omo salvatico

In Apuane tra Puntato e Mosceta, dove vive l’omo salvatico

Con un tracciato di 16 Km e oltre 700 metri di dislivello in salita questo percorso, forse uno dei più belli del Parco Regionale delle Alpi Apuane, attraversa ogni tipo di ambiente e paesaggio di queste montagne, dalla mulattiera attraverso gli alpeggi al sentiero nelle faggete, dalle tracce scavate nella roccia ai piedi delle maestose pareti ai prati in quota. Si rincorre la famosa leggenda dell’omo salvatico, il bonaccione dal cuore tenero, mezzo uomo e mezzo animale, che gira tra queste montagne. I bambini più piccoli non saranno in grado di compiere l’intero giro in giornata ma la presenza di due splendidi rifugi lungo il percorso permette di suddividere il cammino in due o tre giorni, creando un entusiasmante e facile percorso di trekking. Un bacio speciale per la mia bimba di 6 anni che ha allegramente camminato unendo le ultime due tappe percorrendo così 12 km e 600 metri di dislivello in un solo giorno.

Come arrivare

Dalla Versilia si segue la strada per Seravezza e da qui per Stazzema. Si prosegue poi per Levigliani seguendo le indicazioni per le grotte del Corchia. Arrivati a Levigliani (qui si mangia discretamente ma soprattutto si possono visitare le splendide grotte turistiche e fare un giro nelle vecchie miniere d’argento) si sale ancora girando a sinistra (a destra è riservato ai mezzi che portano alle grotte) e proseguendo a salire fino al Passo Croce; si prosegue su strada asfaltata, a inizio stagione un po’ malridotta, e poi sterrata fino a che la strada gira a destra diventando evidentemente impraticabile senza fuoristrada. Qui, o anche prima, si può parcheggiare.

Il percorso

Siete a Fociomboli, giratevi verso destra e alzate il naso: è molto frequente trovare cordate di alpinisti impegnati sulle pareti verticali del Monte Corchia. Salendo poche decine di metri lungo la strada sterrata incrociate sulla sinistra il sentiero ben segnalato che scende verso l’alpeggio del Puntato, segnavia bianco e rosso n. 11. Si scende lungo una comoda mulattiera tra i prati degli alpeggi del Puntato incrociando numerose marginette, le famose cappelline votive locali che un tempo fungevano anche da rifugio; non facendo caso ai bolli rossi (di cui non ho capito il senso) si continua a seguire il segnavia bianco e rosso sempre lungo un comodo sentiero fino alle casette sparse dell’alpeggio del Puntato dove, all’incrocio con il sentiero 128, si prosegue verso destra se si vuole continuare senza fermarsi al rifugio.

Volendo fermarsi al primo rifugio, questo si raggiunge in 15 minuti scendendo dall’incrocio a sinistra (cartello segnavia 128), inizialmente seguendo il greto del torrente e poi attraverso il bosco (un passettino delicato nell’attraversare un fosso): è il Rifugio Il Robbio, uno splendido alpeggio in pietra ristrutturato per volere di un gruppo di persone che, con dedizione ed amore, hanno trasformato questi casolari abbandonati in un angolo di paradiso. Si dorme nei vecchi essiccatoi delle castagne, si mangia tutti insieme i prodotti dell’orto e dei boschi circostanti, e si ammira la splendida parete ovest del Pizzo delle Saette che esplode di rosa alla luce del tramonto. Il giorno dopo si torna indietro all’incrocio che, ovviamente, questa volta si imbocca a sinistra (segnavia 128/11).

Il sentiero prosegue in piano lungo gli alpeggi, i pascoli e i prati descritti da Fosco Maraini, avvicinandosi alle parete scoscese del Pizzo delle Saette. Dopo poche decine di metri si incrocia anche la bella chiesetta del Puntato. Dalla chiesetta si può seguire per il sentiero 128 che sale verso Sud ma all’ultima perlustrazione (Maggio 2020) appariva non molto ben mantenuto. In alternativa, pochi metri più avanti della svolta per il Robbio, si imbocca sulla destra un sentierino segnato da una fila di faggi , che dopo pochissimo inizia ad attraversare, evidentissimo, i bellissimi pascoli del Puntato, sovrastati dalla mole del Pizzo delle Saette. Il sentiero sale, passa vicino a un primo stallo sulla destra, poi ancora altri fino a un’ultima casa dove incrocia la strada sterrata che scende dal Piglionico: si sale pochi metri sulla strada e per poi svoltare a sinistra seguendo una evidente traccia che attraversa un fossetto, sale pochi metri e inizia ad essere un bel sentiero largo che in breve si riconnette al sentiero 128, a questo punto ben tenuto e ormai praticamente in piano. Il sentiero prosegue a mezza costa per un lungo tratto, passando accanto a una grotta conosciuta come Buca dell’Omo Selvatico, la cui storia, con familiarizzate varianti, mi ha aiutato moltissimo a distrarre la mia bimba dalla fatica; ne parlo volentieri più avanti.

Il sentiero esce finalmente dal bosco e procede a mezza costa lungo i prati di Foce di Mosceta ormai in vista della struttura rosso mattone del rifugio Del Freo. Il rifugio è molto conosciuto tra i frequentatori di queste zone, principalmente perché da qui parte un delle due salite normali alla Pania della Croce. Che vi fermiate per la notte o per una rapida sosta non perdetevi la zuppa di farro e di legumi. Da qui parte il frequentatissimo sentiero 129 che prima con una salita (un po’ faticosa) tra cespugli di mirtilli e lamponi (uno spettacolo in Agosto!), poi con qualche saliscendi attraverso la faggeta, porta in circa 2 ore a velocità bambino (un’ora da indicazioni CAI) di nuovo alla strada sterrata di Fociomboli. Questo sentiero può essere ovviamente percorso in entrambi i sensi per arrivare velocemente al rifugio Del Freo.

La storia dell’omo selvatico

C’è una storia che si ripete in posti diversi di montagna, dalla Svizzera all’Alto Adige, fino alle Apuane: è la storia di un uomo selvatico, così selvatico da vivere completamente nudo, anche perché ha il corpo coperto di una folta pelliccia come uno scimmione o un orso. Forte, robusto, ha un fiuto eccezionale come un animale; non si lava ne’ si pulisce se non rotolandosi nel fango ad uso dei cinghiali. L’omo selvatico, o salvatico come qualcuno dice, è timido e rifugge gli uomini ma ha un cuore buono e un atto di gentilezza lo intenerisce. Certe volte sente il bisogno di fraternizzare con gli uomini: si racconta anzi che un tempo solo lui conoscesse il segreto per trasformare il latte delle capre in formaggio, ricotta e burro, e che abbia deciso un giorno di insegnarlo ai numerosi pastori che frequentavano questi pendii; è grazie a lui, quindi, che oggi noi possiamo gustare i caprini e le forme di ricotta che si fanno in montagna. Anche quella volta però gli uomini si dimostrarono avidi e meschini: appena ebbero imparato a fare il formaggio essi cacciarono l’omo selvatico insultandolo per il suo aspetto. Peccato, perché la leggenda racconta che l’omo selvatico stava giusto per insegnare loro il segreto più utile, quello per fare l’olio dal latte. I pastori, che dovevano comprare l’olio a caro prezzo, si disperarono e chiesero perdono all’omo salvatico: inutilmente, il buon selvaggio tornò per sempre tra le sue rocce e le sue grotte.

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Un pensiero su “In Apuane tra Puntato e Mosceta, dove vive l’omo salvatico

  1. Che spettacolo! Voi e i posti meravigliosi che ci mostrate. E soprattutto spettacolare quella bimbetta che cammina con il suo zainetto da cui spunta Merida 🙂

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