Nell’Alto Casentino con gli Amici dell’Asino (e i loro ciuchi)

Nell’Alto Casentino con gli Amici dell’Asino (e i loro ciuchi)

Fabio trotterella tranquillo lungo la vecchia strada casentinese, di quando in quando è attirato dal verde acceso dell’erba di questo anomalo caldo autunno e ne strappa un ciuffo con le labbra.
Fabio è un asinello paziente, cammina per ore senza un cenno di ribellione, ma in fondo questa è la sua seconda vita ed è bellissima: passeggia tra questi boschi meravigliosi portando in giro bambini leggeri come piume, che lo riempiono di carezze tra le orecchie.
Fabio viene dalla Sardegna. Qui nessuno sa niente della sua prima vita ma deve essere stata dura, durissima: si racconta del suo arrivo, delle sue mille paure, dei mille sospetti verso gli uomini, di quanto temesse le mani e gli oggetti vicino al muso. Fabio non parla la nostra lingua e questo deve essere bastato a qualcuno per credere di poterlo usare come un oggetto. Marta ha salvato Fabio quando stava per concludere la sua triste esistenza in un mattatoio.
Marta ha una mente vulcanica e un cuore enorme: nata e vissuta in Casentino, nella parte più alta della valle dove nasce l’Arno, il fiume di Firenze e di Pisa che cento miglia di corso nol sazia, per dirla con Dante; qui ha trasformato la sua passione per la sua terra in professione, divenendo guida escursionistica e costruendo il suo bellissimo maneggio asisino che oggi conta sette asini di tutte le dimensioni e specie. Marta si occupa di pensare le attività, inventarsi gli eventi, accompagnare gli escursionisti insieme al suo compagno Riccardo, anche lui guida, gestire il sito web e lo spazio facebook.
Marta Signi lavora con il cuore e il nome della sua attività, gli Amici dell’Asino, è molto più che una ragione sociale: è una missione.

In giro con gli asini
Le attività degli Amici dell’Asino sono innumerevoli, per tutti i gusti e adatti a tutte le età, distribuiti lungo l’intero arco dell’anno e adatti alle stagioni: si cercano le castagne, si visita la fattoria, si ascoltano i bramiti dei cervi, si cammina sulla neve d’inverno, si passeggia lungo i freschi crinali casentinesi d’estate. Io e la mia figlia più grande incontriamo gli Amici e i loro asinelli in una bella giornata di fine Autunno, il giro sarà lungo e non a caso la bambina sarà ampiamente la più piccola del gruppo ma, grande vantaggio, avrà un asinello tutto suo. Fabio è il più piccolo e decisamente fa al caso suo.
Arrivare al maneggio è semplice: su consiglio di Marta arrivo fino a Stia e da qui proseguo direzione Londa risalendo l’ultimo tratto della valle dell’Arno per un chilometro, quindi svolto a sinistra seguendo le indicazioni per Campolombardo (uno dei tanti toponimi che ricordano i Longobardi, da queste parti): dopo un altro chilometro svolto a destra per Sassi Bianchi, supero una casa rosa e dopo pochi metri trovo sulla destra il piccolo maneggio.
Marta ci ha organizzato un bel giro panoramico lungo le vie alte che costeggiano sui due lati l’alta valle dell’Arno, al confine tra gli ambienti rurali di fondo valle e le propaggini più basse delle Foreste Casentinesi. Si percorrono le antiche strade che collegano i villaggi, giungendo come antichi viandanti alle case coloniche e alle torri medievali. E si arriverà dal castello di Porciano, una delle più belle medievali di tutto il Casentino: Marta, come ogni brava guida, si appoggia a una rete di aiutanti e contatti sul territorio e a Porciano una guida ci attende per raccontarci la storia di questo castello.
Il giro si conclude che è già buio ma nessuno si preoccupa perché la strada sterrata è sicura e comoda e la tranquillità degli asini è contagiosa.

Il mistero del Sasso del Regio
Due occhi osservano questa valle da almeno 27 secoli. Sono occhi scolpiti nella pietra arenaria nella più lontana notte dei tempi: intorno a quel volto enigmatico gli uomini di un centinaio di generazioni hanno continuato a scolpire segni e simboli di una cultura più longeva di tutte le culture e religioni che si sono susseguite, quella della vita agricola e pastorale, delle stagioni e delle lune. Poi, in meno di mezzo secolo, tutto è stato dimenticato.
Gli abitanti dell’Alto Casentino conoscevano l’incisione rupestre come Sasso del Regio anche se le ultime generazioni ne avevano già perso il senso. Stefano Carboni, fisico e cultore di archeoastronomia ha analizzato in dettaglio il petroglifo evidenziando un probabilissimo uso della scultura come calendario lunare e solare: utilizzando la posizione delle Pleiadi e della Luna si poteva segnare su questo calendario la posizione corrente e ricordare a generazioni di contadini e allevatori la data per la semina, per il raccolto, per la mietitura, per prepararsi al parto degli animali.
Gesti sacri perché garantivano la sopravvivenza della comunità e quindi sacralizzati da immagini di divinità, come il Regio appunto, il volto inquietante che sovrasta il calendario.
Il valore di questa scultura rupestre, da qualcuno datata alle prime fasi dell’epoca etrusca, è indubbiamente celebrata dal termine, un po’ enfatico, di Stonhenge del Casentino.
Sia Stefano che Marta raccontano che questa valle è cosparsa dei figli del Regio, faccine scolpite ovunque sulle emergenze di arenaria di questa valle.

Ma c’è di più e gli anziani lo ricordano: il Sasso del Regio guarda e benedice la fonte che sgorga poco sotto, oggi inglobata nella cantina di una vecchia colonica di cui i proprietari aprono volentieri le porte.
Una fonte miracolosa perché nonostante scaturisca da arenarie scure ha depositato una grande concrezione di calcite bianchissima, con tanto di stallattiti e stallagmiti vecchie di millenni: proprio il colore bianco fece supporre agli antichi abitanti che questa fonte avesse poteri galattofori, cioè stimolasse la produzione di latte nelle puerpere.
Non è un caso che il vicinissimo santuario di Santa Maria delle Grazie sia dedicato alla Madonna del Latte; non è neppure un caso che una tradizione ben diffusa ricordi come la Madonna, dopo essere comparsa nel luogo dove attualmente sorge il santuario, sia volata attraverso la valle fino al luogo detto Sassi Bianchi dove appunto Marta tiene i suoi asini e dove, fino ad alcuni anni fa, grandi pietre bianche poste in cerchio segnavano un’area probabilmente sacra.
Un estratto dello studio di Stefano Carboni è disponibile su internet.

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