Il mito delle fiere della foresta è ormai relegato a un tempo remoto: per incontrare un lupo (di sfuggita, giusto prima che vi veda e scappi) serve una fortuna sfacciata; quanto all’orso, è estinto ormai da secoli in Appennino Settentrionale.
Eppure sussistono ancora pericoli reali per chi cammina nei boschi, forse un po’ meno mitici ma non per questo da sottovalutare. Vediamo come evitarli.
Il cane pastore
I cani pastore, soprattutto i grossi e coraggiosi pastori maremmani, rappresentano l’unica difesa efficace contro gli attacchi ai greggi di pecore da parte di lupi e cani selvatici.
Ma, mentre i lupi non attaccano l’uomo e anzi se ne tengono sempre a grande distanza, il cane pastore segue l’istinto per cui è stato selezionato e, volendo difendere il gregge, potrebbe male interpretare il comportamento di un escursionista considerandolo una minaccia per le sue protette.
Come comportarsi in questi casi?
Il concetto chiave da ricordare è: l’istinto del cane non è l’aggressione, ma la dissuasione.
Questo suggerisce di evitare tutte quelle azioni che possano essere interpretate dal cane come atti di aggressione nei confronti del gregge che lui protegge:
– non avvicinarsi al gregge, non toccare gli agnelli e non correre dietro alle pecore
– non minacciare il cane con bastoni o tirando sassi
– non sfidare il cane fissandolo negli occhi e urlando, servirebbe solo a innervosirlo
– non gridare ne’ correre, anche solo per scappare
Nonostante il rispetto di queste regole, a causa dell’istinto territoriale del cane, è probabile che nonostante tutto vi verrà incontro. In questo caso un comportamento tranquillo contribuisce ad allentare la tensione:
– se possibile tenersi a distanza dal gregge, aggirandolo da lontano
– restare calmi e passivi, girare la testa altrove e mostrare indifferenza
– parlare con tranquillità e persino sbadigliare sono comportamenti che il cane interpreta come pacificatori
– se siete in bici scendete e portatela a mano
Il cinghiale
Quello con il cinghiale sarà tutt’altro che un incontro infrequente, soprattutto in Appennino e in Toscana.
Il cinghiale è un animale abbastanza schivo: nonostante la sua mole notevole, quasi sempre non avrà nessuna voglia di attaccare e anzi scapperà da voi appena percepirà la vostra presenza.
Dunque il miglior comportamento da tenere con un cinghiale è quello che gli dà tempo e modo di scappare:
– fare rumore, spaventandolo
– tenersi a debita distanza finché l’animale o il branco non si sia allontanato
– non avvicinarsi ai cuccioli, la madre potrebbe essere nelle vicinanze
– non avvicinarsi ai cinghiali anche se sembrassero “socievoli”: i cinghiali sono rissosi e turbolenti persino tra di loro
– se un cinghiale vi corresse incontro non scappate, tanto lui sarà più veloce: cercate di salire su una elevazione, un dosso o meglio ancora un albero, l’animale cercherà di aggirarvi.
Il cinghiale, in certe condizioni, può diventare davvero pericoloso: è il caso in cui per una qualche situazione ambientale esso si senta in trappola e veda l’attacco come unica via di salvezza, ad esempio se il cinghiale si trovasse chiuso tra noi e una parete rocciosa, o una rete.
Attenti anche se siete in compagnia di un cane: una rissa con il cinghiale il più delle volte ha un finale drammatico per il nostro amico.
Ancora più rischioso è il caso di un cinghiale ferito o anche solo braccato da cani da caccia e cacciatori: in queste condizioni l’animale è furioso e terrorizzato e qualunque ostacolo gli si parerà davanti sarà travolto. La prevenzione migliore di questo drammatico scenario sta nell’evitare le aree con battute di caccia in corso, vedi più sotto.
La vipera
La vipera comune è l’unica specie di vipera presente in Italia e la si può trovare in tutte le regioni eccetto la Sardegna; vive in zone collinari e montuose, è abbastanza piccola (raramente supera i 75 cm di lunghezza) e può presentare colori diversi, dal grigio al bruno al nero. Distinguerlo da altri serpenti o bisce comuni è importante perché la vipera è l’unico serpente velenoso: si riconosce per la testa a forma triangolare e schiacciata e per il corpo tozzo che termina con una sottile coda a punta. Se minacciata, emette un caratteristico sibilo.
Altri tipi di vipere sono maggiormente diffusi in altre parti d’Italia ma in genere non presenti in Appennino Tosco-Emiliano. La vipera dal corno, ad esempio, è la più velenosa del genere ma è diffusa praticamente solo in Friuli e Veneto.
Il veleno che la vipera inocula in caso di attacco è molto inferiore alla quantità tollerata da un uomo adulto sano: ciononostante, in caso di attacco a bambini o adulti indeboliti da malattie, specialmente cardiovascolari, o in caso di morso al collo o al torace, le conseguenze possono essere ben più gravi.
Vale la pena ricordare quali sono i comportamenti che ci aiutano ad evitare spiacevoli incontri:
– indossare scarpe alte (meglio scarponi da montagna), soprattutto se si cammina su pietraie o nell’erba alta
– non frugare con le mani tra i sassi o nell’erba
– in caso di incontro battere i piedi e fare rumore: qualunque serpente scapperò immediatamente
Nella malaugurata ipotesi di un morso (il morso della vipera è riconoscibile per i due forellini alla distanza di un centimetro circa) ricordare le regole base, molto diverse dalle credenze popolari:
– far sdraiare per terra l’infortunato in un posto tranquillo e all’ombra, evitando di farlo camminare o muovere
– non sollevare l’arto, l’infortunato deve restare tranquillamente sdraiato
– sfilare anelli e bracciali che possano costringere l’area colpita
– se possibile, lavare con acqua la ferita; non lavare con alcool, che si combina con il veleno in composti altrettanto venefici
– se possibile, fasciare la ferita senza stringere troppo
– chiamare i soccorsi e attenderli con calma
I primi sintomi più gravi (nausea, vomito, pressione bassa fino a svenimento) si manifestano dopo un’ora ma se le operazioni descritte sopra sono state fatte con cura gli effetti possono essere ritardati anche di 6 ore.
Detto ciò, ricordiamo che la vipera ha, come tutti i serpenti, un ruolo ecologico fondamentale nel contenimento dei roditori invasivi; per questo in Italia è un animale protetto e non deve essere ucciso.
La zecca
Inutile tergiversare: ritrovarsi una zecca addosso è una esperienza così comune che sarà bene prepararsi ad affrontarla.
Le zecche sono parassiti degli animali: si posizionano sulle punte dei fili d’erba aspettando il passaggio di un “ospite”. Le zecche non volano e non saltano, ma si lasciano semplicemente cadere sull’animale o umano di passaggio.
Le zecche sono attive da Aprile a Ottobre, si concentrano particolarmente nelle aree più umide e di solito si rinvengono fino a 1300 metri di quota.
In caso di attraversamento di prati e pascoli, in particolare a bassa-media quota, è quindi consigliabile vestire con calzoni lunghi e possibilmente di colore chiaro, così da poterle facilmente individuare prima che riescano a raggiungere la pelle.
Le zecche sono veicolo di fastidiose infezioni e in certi casi (per fortuna alquanto rari e per lo più non presenti in Appennino) anche di malattie come la borreliosi e l’encefalite da zecca.
I sintomi della encefalite da zecca, o TBE, non si manifestano nei bambini mentre vi è un progressiva escalation di severità con il progredire dell’età. In una percentuale pur minoritaria di casi, dopo un periodo di 3-20 giorni dal morso, la malattia si manifesta con febbre altissima e cefalea. Attualmente non esiste ancora una specifica terapia per questa sia pur rara infezione.
La borreliosi è una infezione batterica che può interessare la pelle, il cuore e il sistema nervoso; di solito si manifesta con un eritema molto caratteristico intorno all’area della puntura, con una tipica colorazione a cerchi concentrici, detta infatti a forma di bersaglio. Essendo di origine batterica, la borreliosi può essere curata con un ciclo di antibiotici.
L’aspetto più subdolo del morso da zecca è che esso è totalmente indolore e del tutto inavvertibile. Le zecche devono essere individuate con una attenta perlustrazione (possono essere macchioline di meno di un millimetro) e quindi rimosse prima possibile, per lo meno entro 24 ore dalla puntura.
Con l’aiuto di pinzette (in farmacia vendono anche apposite pinzette per la rimozione di zecche) la zecca deve essere afferrata alla base, il più vicino possibile alla testa dove sta il piccolo uncino con il quale rimane attaccata alla pelle, e ruotata delicatamente in senso antiorario.
Sfatiamo un mito: non applicare sulla pelle olio, vasellina, alcool o altre sostanze: non solo la zecca non estrarrà la testa ma rigurgiterà ancora più liquidi infetti. Altro mito da sfatare, se dopo la rimozione della zecca il rostro fosse rimasto nella pelle non c’è da preoccuparsi: verrà espulso dalla pelle come qualunque altro corpo estraneo.
Dopo l’estrazione lavare e disinfettare la zona colpita e tenerla sotto controllo per almeno 30-40 giorni; nel caso comparisse un arrossamento consultare un medico.
Vampiri: zanzare, tafani e pappataci
Le zanzare hanno un ciclo riproduttivo particolare che richiede presenza di acqua e temperature miti. Per questo in montagna la stagione delle zanzare è piuttosto breve, e questi piccoli succhiasangue hanno poco tempo per completare il loro ciclo riproduttivo di cui un elemento fondamentale è, appunto, il nostro sangue. Le zanzare sono specializzate nella ricerca di sangue umano e dunque identificano le loro prede dall’odore e dall’emissione di anidride carbonica della nostra bocca: per questo gli spray antizanzare basano il loro potere sul regalarci un odore assolutamente repellente per loro. Mai dimenticare uno spray antizanzare se si decide di sostare nei pressi di un lago o se si intende passare la notte in montagna, che sia in rifugio o in bivacco. In casi estremi (ad esempio, per un bivacco senza tenda in riva a un lago) si trovano da acquistare delle retine con cui coprire la testa.
Viceversa i tafani non reagiscono all’odore bensì al calore, quindi gli spray sono inefficaci. I tafani, analogamente alle zanzare, utilizzano il sangue per completare il loro ciclo riproduttivo, ma a differenza delle prime sono specializzate verso grandi animali erbivori (cervi e ruminanti selvatici, mucche e cavalli, da cui il nome di mosche cavalline; si salvano invece gli ovini); attaccano l’uomo quando questi entra in un territorio già infestato, tipicamente in giornate calde e afose nel pieno dell’estate; a differenza delle zanzare, i tafani attaccano solo in pieno giorno. Per qualche motivo i tafani sembrano trovarci più facilmente se abbiamo la pelle bagnata, ad esempio uscendo da un bagno nel fiume.
La puntura del tafano è dolorosa e difficilmente passerà inosservata; la reazione allergica che ne deriva provoca irritazioni cutanee estese e prolungate nel tempo con arrossamenti, gonfiori e notevole prurito.
I tafani sono piuttosto grossi e si scacciano molto più facilmente di una zanzara; per il resto, l’unica protezione possibile è vestirsi.
Dal lato opposto della scala dimensionale ci sono i pappataci, non comuni in montagna ma presenti ad esempio nelle aree costiere; impercettibili nel morso, appena accennata la loro puntura, se non che dopo qualche ora il prurito si manifesta generalizzato e più forte persino della puntura di zanzara.
Il cacciatore
Intendiamoci, nessuna caccia alle streghe! Nella ampia categoria dei cacciatori rientrano a pieno titolo persone serie e competenti che cacciano per passione ma anche con la consapevolezza dell’importanza di salvaguardare l’ambiente selvatico.
Ho avuto la fortuna di conoscere cacciatori con una tale sensibilità ecologica da percepire il cambiamento climatico nella variazione delle specie animali e della loro distribuzione sul territorio: persone che non lasciano tracce, che non perdono un solo bossolo, che investono tempo e risorse personali nella salvaguardia di boschi e aree naturali.
Sfortunatamente la categoria dei cacciatori comprende altri gruppi di persone non altrettanto rassicuranti.
I cacciatori “della domenica” possono avere poca esperienza, poco controllo e nessun particolare rispetto per l’ambiente; al di là di sparacchiare a ogni oggetto volante e lasciare sporcizia e bossoli esausti, i cacciatori improvvisati sono pericolosi per i propri compagni e per gli escursionisti.
Se il suddetto ha anche alzato il gomito il rischio ovviamente è ben più alto, come evidenziato da una statistica di AIDAA del 2015.
Altro caso da considerare è il bracconiere, che però per sua stessa natura si tiene in genere ben lontano da sentieri segnati e orari frequentati.
Non dimentichiamo però che molti incidenti tra cacciatori e passanti sono causati anche dalla superficialità di escursionisti e altri frequentatori dei boschi. Durante la stagione venatoria (da Settembre a Gennaio) è necessario avere una serie di accortezze aggiuntive per evidenziare la propria presenza, magari con vestiti colorati o giubbotti ad alta visibilità come quelli obbligatori per gli automobilisti.
Trovarsi nel bel mezzo di una battuta al cinghiale è molto pericoloso, sia per il tipo di tiro (si spara ad altezza uomo) sia per la possibilità che un cinghiale ferito o spaventato ci investa. Attenzione quindi ai cartelli che segnalano una battuta di caccia al cinghiale in atto; fate caso al tipico frastuono di una battuta di caccia al cinghiale, con grida, spari e abbagliare di cani (la canizza) che servono a spaventare gli animali e farli confluire in una direzione prefissata. Comunque, le battute di caccia al cinghiale sono in genere molto ben segnalate e alcune squadre si occupano espressamente di presidiare i principali accessi all’area.