Fiamme d’inferno e orchi d’osteria tra Futa e Raticosa in Mugello

Fiamme d’inferno e orchi d’osteria tra Futa e Raticosa in Mugello

Un tempo si raccontava che i viandanti in cammino da Firenze e Bologna, arrivando all’imbrunire nei pressi del Passo della Raticosa, scorgevano tra i campi delle luci vivaci, come di grandi focolari di pastori. Invogliati da quell’inatteso invito al riposo, forse speranzosi di rimediare un po’ di latte e formaggio, abbandonavano la strada e si spingevano nell’oscurità seguendo il lume lontano. Ma lo sgomento li coglieva una volta che, giunti alla fonte di luce, si trovavano di fronte a un grande fuoco che scaturiva dalla terra come una fiamma infernale, al punto che gli abitanti del vicino villaggio di Pietramala avevano preso a chiamare quel luogo “Bocca d’Inferno”.
Si racconta che i viandanti tentassero a quel punto di tornare alla strada nella più completa oscurità, finendo a volte nei precipizi o annegando nei fossi.
Il Mugello è una terra di dolci pascoli e boschetti, da qui viene buona parte del latte bevuto in Toscana: non si direbbe certo che possa essere anche la casa di paure e presenze ultraterrene che, invece, sembrano albergare comodamente su questi passi.
Questo è un viaggio in un altro Mugello, alla scoperta di insospettabili storie da brivido tra pascoli e dolci pendii.

I fuochi di Pietramala e il vulcano di Monte Busca
Un viaggiatore del cinquecento scriveva: “In Pietramala v’è un alto monte che manda fumo ed emette anche grandi fiamme, soprattutto quando la pioggia cade più abbondantemente”; e un altro, a metà del settecento: “quando il tempo è disposto a tuoni, la fiamma rafforza la sua vivacità”.
Gli abitanti di Pietramala conoscevano da sempre quei fuochi perenni o sporadici che si accendevano nei campi, a volte da una pila di pietre calcinate, altre volte da una gorgogliante pozza di fango.
Il loro aspetto variava molto: potevano apparire come possenti fiamme che brillavano nella notte oppure come effimere fiammelle bluastre che come fuochi fatui baluginavano nell’oscurità.

La vera origine di questi fenomeni divenne oggetto di studio a partire dall’epoca dei Lumi, nel settecento, quando persino il celebre Alessandro Volta fece tappa a Pietramala per studiarne l’origine; si comprese così che a bruciare erano sostanze oleose e gassose, emissioni di gas metano naturale provenienti da piccoli giacimenti intrappolati tra gli strati di arenaria dell’Appennino. Le perforazioni effettuate nel novecento e ancora più di recente gli scavi dell’Alta Velocità hanno svuotato questi piccoli giacimenti di gas e i fenomeni si sono arrestati per sempre; ma esiste un luogo non troppo distante dove ancora oggi si può visitare uno di questi fuochi: è il vulcanetto di Monte Busca.
Voliamo in Romagna, appena fuori il Parco delle Foreste Casentinesi: nei pressi di Portico di Romagna si seguono le indicazioni per Tredozio e Faenza; dopo poco più di 5 Km si parcheggia in prossimità di un vecchio casolare abbandonato, ora usato come rimessa; con un sentierino si costeggia l’edificio e dopo 100 metri lo sguardo si apre su un pianoro al centro del quale splende il vulcanetto. Un fuoco vivo brucia perennemente scaturendo da alcune pietre, le fiamme sono blu e gialle e non somigliano affatto a un fuoco di legna. Da secoli questi sassi sono la via d’uscita di un piccolo giacimento di gas naturale, per fortuna mai compromesso dall’attività umana, e ci da una vivace idea di come dovessero apparire i numerosi fuochi che punteggiavano l’Alto Mugello nei secoli passati.

Il Sasso di San Zanobi
Tra i dolci pendii dell’Appennino Mugellano il Sasso di San Zanobi torreggia come una roccia isolata ed appuntita, nera e verdognola, aliena tra le arenarie chiare dei dintorni. Chi può averla portata lì?
Si racconta che il Diavolo, scontroso abitante di questi crinali, si fosse un giorno stancato della continua attività di predicazione di San Zanobi, che rischiava di lasciarlo a corto di anime succulente. Così il Diavolo propose al santo una prova impossibile, promettendo che chi l’avrebbe vinta avrebbe avuto la totale autorità sulle anime dei montanari. La prova era questa: dal fondo valle bisognava portare dei massi enormi, giganteschi, sù fino al crinale.
Il Diavolo partì con il suo sassone ma il Santo, aiutato dalla miracolosa intercessione divina, correva ancora più veloce verso la cima, portando un masso di dimensioni incredibili con il solo dito mignolo. Quando il Santo riuscì a sorpassare il Diavolo, questi fu quasi schiacciato dal suo sasso e per non restarvi sotto fu costretto a gettarlo; il sasso si frantumò in decine di pezzi e il Sasso della Mantesca è uno di questi.

Il Santo invece arrivò tranquillo sulla cima e posò tranquillamente il masso: era il Sasso di San Zanobi.
La scienza ci racconta che questa roccia scura si chiama Ofiolite: con i movimenti tettonici, cioè gli spostamenti geologici che hanno generato le montagne, alcuni lembi del fondale lavico di un oceano preistorico sono stati sollevati tra le sabbie marine; le sabbie sono diventate le arenarie di queste montagne, i lembi di fondale restano come ofioliti.
Il Sasso si trova nei pressi del Passo della Raticosa, da qui seguendo la strada per Piancaldoli: si incontra lungo la strada e non c’è modo di perdersela tanto è ben evidente. Con un po’ di attenzione è possibile salire sul sasso seguendo una traccia abbastanza evidente: con scarpe buone e un po’ di attenzione la salita è fattibile anche a bambini dai 7-8 anni. Non è un percorso pericoloso ma richiede comunque un po’ di arrampicata con mani e piedi su roccette, quindi fate attenzione a non sottovalutare la salita dimenticandovi di dover poi ridiscendere.
D’altro canto è una salita breve ma avventurosa ed emozionante e la cima regala una vista stupenda. In vetta troverete una croce di ferro… casomai il Diavolo tornasse a prendersi la rivincita.

La sinistra storia dell’Osteria Bruciata
Viaggiare nei tempi passati era molto pericoloso. I viandanti più di chiunque altro erano esposti alle aggressioni perché lontani da casa, nessuno tra parenti e amici che sapesse dove si trovassero esattamente ed era praticamente impossibile denunciarne la scomparsa, anche perché nessun investigatore si sarebbe messo sulle loro tracce. Boschi e montagne erano infestati di banditi e ogni rapina finiva regolarmente con l’eliminazione di tutti i testimoni.
Una locanda lungo il proprio cammino era sempre motivo di gioia e grande speranza: per quel giorno il viaggio finiva bene. Ma a volte proprio all’osteria scattava la trappola.

Si racconta che lungo l’antica strada che congiungeva il Mugello alla Pianura Padana, oggi conosciuta come Via degli Dei, vi fosse una osteria dove i viandanti incontravano una sorte tristissima: nella notte i viaggiatori venivano uccisi e cucinati per i viaggiatori del giorno seguente, così che l’albergo non era mai a corto di cibo.
Un giorno un viandante riuscì a fuggire da quel sinistro albergo e corse a denunciare gli albergatori assassini. Erano tempi, quelli, in cui la giustizia non era meno violenta dei criminali: l’osteria fu bruciata e demolita pietra su pietra e, anche se non si sa nulla dei suo gestori, ne immaginiamo una sorte adeguata al loro misfatto.
La leggenda deve essere molto antica se già in una mappa del cinquecento l’osteria figurava come “ospedaletto rovinato”; le guide di quel periodo riportano che l’albergo fu incendiato e ridotto a un rudere perché sede di non meglio precisati malfattori.

Il sentiero per il passo di Osteria Bruciata inizia a breve distanza dal passo della Futa, seguendo il segnavia 00 di crinale e anche le indicazioni di Sentiero degli Dei. Il sentiero è sempre molto ben segnalato e tracciato e segue il crinale salendo con un bellissimo e panoramico percorso verso il Monte Gazzaro: dalla cima di questo scende lungo il ripido versante orientale, roccioso e scosceso, ma il percorso è sempre sicuro e ben tracciato e dove necessario un cavo aiuta la progressione. Al passo di Osteria Bruciata si può decidere se tornare sui propri passi o seguire il sentiero 48 e poi 50 che si ricollega allo 00 passando più in basso lungo il versante Sud del Monte Gazzaro e seguendo piste forestali e sentieri un po’ fangosi fino al ritorno sul crinale. Il sentiero non è per bambini piccoli sia per la lunghezza (entrambi i tratti richiedono circa 2 ore solo andata, considerare almeno 4 ore per tutto il giro) che per i numerosi saliscendi.

Il sentiero per Osteria Bruciata

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Il vulcanetto di Monte Busca e il Sasso di San Zenobio

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