Campocatino è un’oasi: nel mezzo di uno sconfinato deserto di luci rumori e urbanizzazione Campocatino è un antico alpeggio di pastori dove la corrente elettrica non arriva, l’acqua scende diretta dalla grande parete incombente della Roccandagia e vige il divieto d’acceso per le auto.
Lunghezza: 4 Km A/R
Dislivello: 400 mt A/R
Tempo di percorrenza: 3 ore
Difficoltà: difficile (da 7 anni)
Posizione: Alpi Apuane
Qui la notte è buia e solo le lontane modeste luci dei paesi della Garfagnana ci ricordano che il resto del mondo in quel momento sta vivendo a ritmi diversi. Abbiamo passato la notte in una delle casette in pietra, l’unica ad essere affittata, ed è stato come volare indietro nel tempo, ai luoghi e ai tempi raccontati da Fosco Maraini.
Di notte la piccola casa è riscaldata da un caminetto al piano inferiore, un tempo adibito a ovile, e la luce è data dalle candele poggiate sopra il camino o, nella camera al piano di sopra, sul vecchio porta-bacile in marmo locale e sulla madia in legno di castagno.
Di notte la casa scricchiola e parla e non stupisce che i vecchi vedessero folletti tra le travi o nei mille angoli bui. La luce delle candele tremola e genera figure, per millenni ha riempito le stanze di anfratti e angoli oscuri che, come racconta Mario Ferraguti, lasciano ai più misteriosi abitanti delle case il modo di restare sempre nascosti agli occhi umani. Poi un giorno è arrivato il click elettrico a inondare l’intera casa di luce elettrica, tagliando ogni via di fuga agli esseri magici: e questi, volenti o nolenti, hanno lasciato le case di montagna prima ancora che lo facessero i proprietari.
Comunque, a scanso di dubbi, una grossa statua della Madonna è posta sul mobile in camera, a protezione dei dormienti.
In camera faceva un po’ freddo, eravamo in Autunno ormai e qui siamo a più di mille metri di altitudine; ma le coperte sono quelle di una volta, quelle che proteggevano dagli inverni veri, morbide e pesantissime, e una volta sotto si dorme tranquilli fino al mattino.
Il primo sole arrossa proprio la parete della Roccandagia e poi scende a inondare i pascoli di Campocatino, le casette dell’alpeggio e il prato piatto e morbido dove i bambini giocano senza pericoli: è l’ora di prepararsi per l’escursione verso l’Eremo di San Viano ripercorrendo una via vecchia di secoli.
Arrivare all’eremo di San Viano
Quello di San Viano è un eremo “in abrì”, cioè incastonato nella parete verticale della montagna, raggiungibile oggi con un sentiero ripido ma sicuro là dove fino a pochi anni fa si accedeva calandosi lungo una catena stesa all’interno di un ripido fosso.
Di solito l’eremo è chiuso ma si possono prendere le chiavi presso il ristorante “il Rifugio”, all’ingresso di Campocatino. Proprio il fatto di aprire di persona il portone dell’Eremo, entrare nel silenzio della piccola chiesa rupestre, attraversare l’unica sala in forte salita, aprire la porticina sul fondo per uscire sul terrazzino sospeso in mezzo alla parete rende tutta l’esperienza emozionante, ci si sente custodi della rupe. Come detto la chiesetta è piccola e in ripida salita, ricavata nella forma naturale della caverna originale; il soffitto è per metà creato dalla volta della caverna stessa mentre l’altra metà è coperta da travi antiche. Il fondo dell’eremo è coperto di ex voto, principalmente fiocchi rosa e blu di bambini il cui benessere è stato posto sotto la protezione del santo, la cui statua troneggia sopra l’altare, e della piccola Madonna in marmo. A fianco dell’altare una porticina permette di accedere alla cengia oggi protetta sul vuoto da un muretto; qui è tradizione che fosse ritrovato il corpo del santo, qui ancora stilla la sorgente alla quale Viano si dissetava; in fondo c’è la vecchia porta dell’eremo, sulla quale generazioni di pellegrini hanno lasciato nomi date e segni.
Il sentiero che conduce all’eremo inizia proprio a Campocatino, nei pressi della fonte e del monumento ai due inseparabili compagni pastori, l’uomo e il cane. Dopo un breve tratto di strada sterrata si imbocca un sentiero segnato come innesto al sentiero 35, seguendolo attraverso prati di felci e castagneti. Il sentiero torna sulla strada sterrata, ora immersa nei castagni, fino a una grande croce di legno: qui si abbandona il sentiero CAI e si continua a seguire le indicazioni per San Viano, il sentiero inizia a scendere ripido ma sempre sicuro e ben attrezzato con un parapetto e corrimano in legno, arrivando in breve sotto la rupe dell’eremo. Il percorso richiede una breve risalita anche al ritorno e questo può essere un po’ faticoso per i bambini più piccoli, ma con qualche gioco e distrazione si arriverà in breve in cima e poi giù veloci fino a Campocatino. Nel complesso l’andata è più faticosa e per noi che eravamo con una bambina di 3 anni ha richiesto poco meno di un paio di ore; il ritorno è stato molto più veloce.
La strana storia di Viano l’Eremita
Viano era un personaggio alquanto particolare, duro e spigoloso come le rocce di queste montagne che, viste dalle cime dell’Appennino, sembrano gobbe, ricurve, o arcigne e impettite, sempre sul punto di rovesciarsi come creste di onde.
Viano era, si racconta, un pellegrino o forse un esule, un migrante diremmo oggi: veniva dall’Emilia e si era fermato qui con sua moglie per fare il contadino. Era brutto e un po’ deforme, Viano, e per questo oggetto di scherno da parte degli altri contadini e persino di sua moglie; così un giorno si stancò e fece ciò che chiunque venga subissato da detrattori e malelingue sogna da sempre: salutò tutti e se ne andò.
Ma era il medioevo e non c’erano tanti posti dove poter cambiare vita: così Viano, che era appunto un personaggio sopra le righe, non andò tanto lontano ma anzi si rifugiò su di una cengia che correva a metà di una orrida scarpata del monte Roccandagia, bevendo acqua di sorgente e mangiando cavolo selvatico, una pianta che cresce ancora oggi spontanea.
Visse in questa condizioni per anni, mai lamentandosi e anzi amando sempre di più la natura e gli animali, finché un giorno alcuni pastori trovarono il suo corpo senza vita proprio lungo la fessura nella roccia che era stata la sua casa per tanti anni.
E qui finisce la vita semplice di Viano l’eremita e inizia la storia di Viano santo e dei suoi prodigi: uno strano santo, per la verità, al punto da non essere mai stato ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa.
Viano era santo solo per i pastori.
Un santo vendicativo e irascibile, se è vero che fece restare ciechi alcuni briganti e precipitare nel fiume un tizio che aveva bestemmiato e che fece schiacciare sotto un masso un cavatore solo perché non rispettava il riposo festivo. Di questo strano santo si racconta che il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Vagli di Sopra ma egli ogni notte se ne tornava al suo eremo (e non doveva essere un bello spettacolo!) finché i pastori capirono l’antifona e lo seppellirono nella sua amata caverna.
Ma per quanto tremendo fosse stato, Viano restava il santo dei pastori, che venivano fin quassù in un pellegrinaggio continuo testimoniato dalle mille incisioni e dai segni lasciati per secoli sulle rocce qui intorno: seguendo i pastori la sua statua prese a seguire i ritmi dell’alpeggio, veniva portata ai pascoli di Campocatino durante la bella stagione, e poi riportata all’eremo a Settembre, quando le capre tornavano giù in paese.
La personalità di Viano ci viene tramandata cruda e schietta come quella delle divinità dei Liguri Apuani, gli antichi abitatori di queste montagne. Un popolo, gli Apuani, che ancora nel II secolo avanti Cristo impensierivano i già potentissimi Romani, una spina nel florido albero che si stava trasformando in impero.
A quel popolo apparteneva una giovane ragazza, tra i 12 e i 14 anni, morta prematuramente per cause che non conosceremo mai; era una ragazza di buona famiglia, anzi probabilmente una nobile, la figlia di un capo. I suoi resti, ma soprattutto i monili di bronzo, argento e ambra che l’adornavano in vita, sono stati ritrovati qui vicino e il mondo l’ha conosciuta con il nome di fanciulla di Vagli.
Dormire a Campocatino
Le casette dei pastori sono dette stalli. La signora Patrizia, di Vagli, affitta l’unico stallo disponibile per i turisti a un costo veramente modico; la signora e suo marito accolgono gli ospiti con cura e affetto, mille spiegazioni e mille buoni motivi, se mai ce ne fosse bisogno, per pensare di essere arrivati in un posto meraviglioso. Nella casetta c’è la legna e le candele per la luce e se non siamo nella stagione secca c’è anche l’acqua corrente in casa. Avendo avuto il permesso della signora Patrizia pubblico il suo numero (333 192 2257 oppure 0583 664 181) ma si possono chiedere informazioni anche al non lontano ristorante Il Rifugio, l’unico di Campocatino.
In estate Campocatino torna ad ospitare le capre dell’ultimo pastore: se vi capita di incontrarlo non perdete l’occasione di chiedere il suo formaggio, è buonissimo ed è tutto sinceramente apuano.