Il bosco delle fate e le mille storie del Santuario della Verna

Il bosco delle fate e le mille storie del Santuario della Verna

Per gli Etruschi e i Romani la dea Laverna era l’ambigua e misteriosa protettrice dei ladri. In Casentino gruppi di briganti vivevano di rapine a danno dei viaggiatori che traversavano l’Appennino ma a conclusione delle loro scorribande non dimenticavano mai di offrire una parte del bottino alla antica dea.
Allora come oggi queste foreste erano fitte e selvagge e le rocce si aprivano in anfratti e crepacci che risultavano ottimi nascondigli per i banditi e per le loro refurtive. Per molti secoli questo fu un luogo di paura e pericolo, anche solo avvicinarlo poteva avere terribili conseguenze e nessuno era al sicuro in questi labirinti di boschi ombrosi e mura di roccia.
Poi un giorno di primavera del 1213 il Conte Orlando, signore di Chiusi di La Verna, pensò che dove non avevano potuto i suoi armigeri forse avrebbe avuto maggior successo la pacifica parola di un uomo minuto, dall’aspetto insignificante ma dal carisma di un gigante: fu così che al monte di Laverna arrivò Francesco d’Assisi, e la storia di questo luogo cambiò per sempre.
Scopriamo questo bellissimo monte con un breve sentiero adatto, con un po’ di pazienza, anche ai bambini più piccoli.

Il percorso
Chiusi di La Verna è nato come passo montano tra le vallate del Casentino e della Valtiberina, oggi è un piccolo paese con tutti i caratteri della stazione climatica d’altri tempi: gli alberghi in stile neogotico, un po’ sovradimensionati rispetto alla clientela che oggi li frequenta, i giardini e i parchi per tranquille passeggiate al fresco, un bar ristorante e albergo, qualche residenza religiosa. La maggior parte dei turisti prosegue oltre, passa senza attenzione l’indicazione per il castello del Conte Orlando (che invece merita di essere visto) e inizia la strada a tornanti che dopo qualche chilometro termina ai grandi parcheggi del santuario, che d’estate sono occupati dagli autobus dei pellegrini e da auto e moto dei turisti domenicali. Voi invece prenderete il meglio che questo luogo vi può offrire parcheggiando giù in paese, di fronte all’albergo Bellavista (dove la vista non è bella ma si mangia bene) e imboccando il sentiero pochi metri più avanti lungo la strada per il santuario. Seguendo il segnavia 50-GEA e dopo poco svoltando a destra per il segnavia 501 ci si incammina lungo l’antica via di accesso al santuario, lastricata in pietra. Ci si addentra in una foresta millenaria, faggi ed aceri hanno dimensioni maestose sia in larghezza che in altezza; le rocce si aprono in caverne, balze e trincee naturali, spesso divaricate dalle stesse radici contorte di qualche troneggiante colosso arboreo: non stupisce di certo che nel tempo questa foresta abbia assunto il nome di Bosco delle Fate. In questo bosco e su questo selciato hanno camminato per secoli i pellegrini che dal passo di Chiusi salivano al Santuario.
In meno di mezz’ora a velocità bambino il sentiero risale fino al parcheggio dopo avere di poco deviato nella parte finale a causa degli alberi caduti; qui nell’inverno del 2015 un vento particolare, precipitato dal crinale appenninico lungo i versanti occidentali, ha devastando intere foreste delle zone montane e pedemontane di un’area immensa, dalle pinete della Versilia ai boschi della Montagna Pistoiese, dai versanti del Pratomagno alle antiche foreste della Verna. Nei canaloni, dove il vento prendeva velocità, l’effetto è stato quello di una gigantesca invisibile valanga che ha spezzato alberi centenari come ramoscelli secchi.
Solo grazie a un eccezionale lavoro di operai e forestali il sentiero era già pulito e ben percorribile dopo pochi mesi ma ancora quando scrivo, nell’estate 2015, altri sentieri per il Monte Penna sono in parte inagibili.
Uscendo al parcheggio si segue il percorso che seguono turisti e pellegrini accedendo al Santuario.
Rimando a guide più specializzate (questa ad esempio) la descrizione di questo luogo dalle mille meraviglie, mille curiosità e mille tesori d’arte. Qui troverete anche bar, ristorante e altri servizi.
Dal famoso piazzale del Santuario, da dove si gode una delle più belle viste della Toscana, si scende verso il museo e si prosegue superando la porta meridionale del Santuario; si percorre in discesa la ripida strada selciata che conduce alla cappella degli uccelli, da qui si costeggiano gli orti dei frati e quindi si prosegue in discesa verso il paese (segnavia 50-GEA). In corrispondenza di un cancello chiuso conviene fare una breve deviazione: usando la scaletta in pietra per superare il muretto si prosegue per poche centinaia di metri passando sotto la rupe della Verna; proseguendo poco più avanti si trovano altri luoghi affascinanti come il Calcio del Diavolo e la Ghiacciaia. Infine si torna sui propri passi e si riprende la vecchia strada.
In circa mezz’ora il sentiero, sempre facile e comodo, porta infine al punto di partenza oppure, svoltando a destra poco prima, termina in un giardinetto pubblico con altalene e altri giochi.
Tutto il percorso è davvero breve e facile, fattibile con un po’ di pazienza anche ai bambini più piccoli.

Le mille storie della Verna
Fu il dio Penn, antichissima divinità dei popoli Celtici e Liguri che vivevano qui ben prima degli Etruschi, ad abitare per primo questo monte; il Monte Penna che sovrasta l’eremo ne porta ancora il nome.
Poi arrivarono i romani e qui portarono una dea misteriosa e controversa: Laverna, protettrice di ladri e truffatori, di chi rapina e di chi assale per rubare, ma anche delle caverne e degli anfratti dove questi nascondevano il bottino: a lei venivano dedicati i mille crepacci che si aprono tra queste rocce e a lei veniva offerta una parte del bottino, sempre lasciata in qualcuno tra i crepacci più profondi.
Nel medioevo il Conte Orlando chiamò Francesco d’Assisi quando questo luogo era già maledetto da secoli di storie di diavoli e altre divinità poco raccomandabili; vi viveva saltuariamente solo una piccola comunità di monaci benedettini che consideravano questo luogo remoto un eremitaggio estremo più che un luogo da monastero
Francesco e i suoi compagni iniziarono una pacifica conquista di queste montagne, inizialmente abitando le grotte e dormendo su giacigli di pietra e paglia, costruendo tutto ciò che serviva a una permanenza stabile, e mostrando al popolo che anche un luogo maledetto poteva rinascere.
E allora ecco che si racconta che il diavolo in persona non fosse per niente contento di avere questi bravi fraticelli tra i piedi: il Gran Nemico amava sedersi su un masso, chiamato Sasso Spicco, incastrato tra le due pareti di un crepaccio, ma Francesco lo cacciò in malo modo dal suo giaciglio per farne il suo luogo prediletto di meditazione. Da quel giorno il sasso spicco e il suo profondo crepaccio divennero luoghi sacri attirando migliaia di pellegrini, come testimoniato dalla miriade di piccole croci incise sulla roccia. Una volta ancora il diavolo, infuriato per aver fallito in tutti i tentativi di sviare Francesco dal suo progetto, diede un calcio alla roccia con tale potenza da creare una scarpata tutt’oggi chiamata Calcio del Diavolo.
Il diavolo non aveva davvero speranze, quel luogo era di Francesco, che lo amava in maniera particolare proprio perché così selvaggio e isolato. Un giorno Francesco saliva verso il monte insieme ad un contadino che lo accompagnava e che si lamentava essendo stanco e assetato: si racconta allora che Francesco fece sgorgare acqua fresca e limpida che ancora oggi è lì a dissetare i viandanti.
Un altro giorno Francesco tornava dopo una lunga assenza: gli uccelli si riunirono tutti su un albero per salutarlo, gli parlavano e lo ascoltavano: il luogo dove cresceva quell’albero è oggi ricordato dalla Cappella degli Uccelli.
Se vi capitasse di attraversare il corridoio coperto e affrescato ricordate la sua storia: un giorno i frati decisero di rinunciare alla solita processione del pomeriggio, perché faceva freddo e nevicava forte: la mattina dopo trovarono le impronte degli animali del bosco che avevano preso il posto dei frati. Da quel giorno fu costruito il corridoio e nessuna processione fu più rimandata.

E a metà del corridoio troverete il letto di Francesco, un durissimo sasso dall’aspetto davvero poco comodo; lì accanto, dietro una finestrella, c’è sempre un frate che a turno prega per il Santuario.
Infine c’è la storia più importante, quella a cui è dedicato quasi l’intero Santuario: la storia delle stimmate di Francesco. Si tratta di una storia ricca di pathos ed emozione: preferisco che siano le parole di Bonaventura da Bagnoregio a raccontare l’episodio:

Un mattino, all’appressarsi della festa dell’Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell’aria, giunse vicino all’uomo di Dio[…].
Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell’immagine dell’uomo crocifisso.

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