Certe notti da bambino mi capitava di sognare di correre su un prato grandissimo, quasi da non vederne la fine. Per quanto corressi lontano non avevo mai l’impressione di essermi perso, perché tutto rimaneva a vista e non c’erano pericoli, l’erba era soffice e i bordi si alzavano come le pareti di camera mia.
Lunghezza: 4 Km sola salita
Dislivelllo: 400 mt
Tempo di percorrenza: 2 ora
Difficoltà: medio (da 7 anni)
Posizione: Appennino Reggiano
L’anno scorso scoprii la valle delle sorgenti del Secchia, all’Alpe di Succiso: è un prato immenso, potrebbero entrarci dieci campi da calcio, completamente piatto e circondato da boschi e poi da pareti ripide e altissime. Lo attraversa un ruscellino che non dà pensieri, un bambino che ci finisse dentro potrebbe al massimo bagnarsi i piedi, si fa fatica a pensare che quel torrentello proseguirà verso Nord divenendo il fiume Secchia, uno dei massimi affluenti del Po e confine tra Modena e Reggio Emilia.
Con la famiglia ho organizzato qui il bivacco in tenda a festeggiare il Solstizio, la giornata più lunga dell’anno. Portare bimbe e materiali su per l’erta salita finale è stata una fatica degna di uno sherpa in Himalaya ma veder correre le due sorelline, pazze di gioia per quello spazio sconfinato tutto per loro, ha chiuso quel lungo cammino iniziato con il mio sogno, tanti anni fa.
Il percorso
La partenza è dal Passo del Cerreto: dal parcheggio del bar ristorante si vede quasi tutto il percorso, dominato dalla imponente mole dell’Alpe di Succiso, una delle più alte montagne dell’Appennino Settentrionale.
Il sentiero, segnavia 00, inizia giusto alle spalle del ristorante e tira dritto verso le pendici del Succiso con un lungo tratto in saliscendi: il percorso è sempre ottimamente tracciato e ben camminabile, in una continua alternanza di boschetti di faggio e prati di felci e lamponi, direi anche adatto per i più piccoli e i loro primi passi su sentiero.
Ad un incrocio si prosegue a destra (la segnaletica è ottima, ogni incrocio ha dei cartelli molto chiari, proseguire per Sorgenti del Secchia e Passo di Pietratagliata) e dopo poche decine di metri finisce questo tratto in piano e inizia la salita. Un tempo, agli inizi dell’ottocento, qui iniziava anche la Francia, un cippo di confine lo ricorda con le lapidarie parole Empire Français (Impero Francese).
La salita è breve ma davvero intensa e questo tratto, a differenza del precedente, è per bambini motivati.
Si segue il crinalino lungo prati di ginepro e lampone, poi si diverge dal sentiero principale (con gioia, visto che questo procede dritto verso una cresta inquietante) imboccando il sentiero 671 che taglia prima i prati, e poi, decisamente ripida (ma siamo ormai alla fine), sale attraverso un bosco di faggi.
Arrvati a una fresca sorgentella siamo a buon punto, la salita è quasi terminata: in breve si raggiunge il bordo della valle e si inizia a scendere leggermente, per un breve tratto e sempre tra i faggi, fino a un nuovo incrocio. Anche questo incrocio è segnalato da evidenti cartelli ma a questo punto non serve più: davanti a noi si apre di già la maestosa valle delle sorgenti del Secchia.
In tutto la salita richiede non meno di 2 ore a velocità bambino (il primo tratto in piano prenderà circa 40 minuti, sempre a velocità bambino); per la discesa lungo lo stesso itinerario di salita si impiegherà poco meno, dato che è da prendere con una certa cautela.
Il prato delle sorgenti
Un prato immenso, morbido, con pochissimi sassi e senza pericoli, attraversato da un placido ruscelletto, circondato da boschi ripidi e da scoscese pareti che un bambino salirà molto mal volentieri avendo a disposizione tutto quello spazio libero.
Non ci sono scivoli ne’ altalene ma qua e là, ai bordi del prato, grandi sassi invitano alla sfida da veri esploratori.
Qualcuno ha organizzato dei punti per accendere il fuoco a volte belli come caminetti, con le panchine in pietra; qui è bello fare un bivacco notturno come un picnic in una calda giornata estiva.
Intorno, l’ambiente è maestoso, mancano solo i ghiacciai a fare di questa valle uno splendido paesaggio alpino. Queste vallate sono la casa di marmotte, falchi, tassi, volpi e lupi, i cui richiami non sono rari nella notte.
Poco più sopra, passato un grande masso erratico, il sentiero inizia a salire verso il passo di Pietratagliata, visibile lungo la cresta scoscesa; appena iniziati a salire, ancora nel boschetto, il sentiero passa accanto a una sorgentella, marcata da un triangolo rosso dipinto su una roccia: sono le sorgenti del Secchia, da qui sgorga acqua buona e freschissima, anche se l’acqua può essere raccolta e bevuta anche più in basso, ai limiti del prato, dove il torrentello scende con piccole cascate prima di iniziare ad attraversare il prato.
Chi ha scavato questa valle?
Cosa può aver scavato qui, in mezzo alle montagne più ripide, una valle completamente piatta? Probabilmente non quel piccolo ruscelletto che scorre placido serpeggiando tra i prati. Di certo deve essere stato qualcosa di molto potente, qualcosa in grado di trasportate blocchi di pietra di parecchie tonnellate disseminandoli ovunque. Questo qualcosa è il ghiaccio.
Il ghiaccio si forma quando, a causa dell’alta quota, la neve non si scioglie mai completamente; si accumula anno dopo anno, trasformandosi in ghiaccio sempre più compatto. Se l’accumulo continua per secoli e millenni il ghiaccio crea un enorme fiume solido, una colata bianca chiamata ghiacciaio.
Perché la neve non si sciolga completamente d’estate e si possa formare un ghiacciaio è necessario che le temperature estive non siano mai tropo alte, condizione che si ha in alta quota o molto a Nord, ad alte latitudini. Oggigiorno sulle Alpi i ghiacciai si formano sopra i 3000 metri ma scorrendo possono scendere poi a quote più basse.
Oggi, sugli Appennini non esistono più ghiacciai, ma non è stato sempre così.
Nel passato la Terra ha vissuto periodi di raffreddamento chiamati glaciazioni: durante le glaciazioni le Alpi e il Nord Europa erano coperte da un’unica, grande calotta di ghiaccio simile a quelle che oggi coprono la Groenlandia; Francia e Germania erano occupati dalla tundra, un ambiente che oggi ritroviamo in Siberia. L’Italia aveva allora il clima che oggi troviamo in Norvegia e tutte le montagne sopra i 1500 metri avevano i loro ghiacciai, soprattutto sui versanti Nord.
L’ultima grande glaciazione risale a 20.000 anni fa: a quel tempo queste montagne erano percorse da rare tribù di cacciatori che già usavano l’arco e costruivano quello che serviva in osso, pietra, legno e altri materiali naturali; cacciavano piccoli animali come marmotte e lepri, o grandi animali che oggi troviamo sulle Alpi, come stambecchi e camosci. Lupi ed altri predatori erano i loro concorrenti, e il gigantesco orso delle caverne era il più temuto.
Dall’Alpe di Succiso un grande ghiacciaio scendeva verso la valle del Liocca, raggiungendo l’altezza del paese di Succiso, mentre un secondo ghiacciaio riempiva la conca del fiume Secchia, scavandolo con questa tipica forma a U dal fondo piatto. Dalle creste dell’anfiteatro dove il ghiacciaio nasceva, il cosiddetto circo glaciale, il lento fluire del ghiacciaio strappava rocce enormi che poi lasciava sparse qua e là lungo il tragitto, i cosiddetti massi erratici.
10.000 anni fa i ghiacciai scomparvero per sempre lasciando la grande valle fiorita che oggi vediamo.
hai ragione, una pecca della categorizzazione del’Appennino che, a parte la distinzione tra modenese e reggiano, è chiaramente inadeguata.
Mi sono ripromesso di rivederla.
Ciao
M
Appennino reggiano non modenese