Piscine naturali del Rovigo e la Badia di Moscheta

Piscine naturali del Rovigo e la Badia di Moscheta

La val d’Inferno è una gola stretta tra alte pareti di arenaria e ammantata da folti boschi, scavata nei millenni da un piccolo torrente che non si sarebbe detto tanto potente da poter incidere la roccia come un ciclopico aratro. E’ una valle bellissima scavata dal torrente che scende verso Nord per andare a gettarsi nel più grande torrente Rovigo.
Sul fondo della Val d’Inferno corre un sentiero molto ben tenuto e tutt’altro che infernale che percorre comodamente il versante Ovest della gola fino al torrente Rovigo: qui l’impavido bagnante sarà messo a dura prova dalle acque chiarissime e gelide del torrente che forma cascatelle, pozze e una grande piscina naturale.

Il torrente
Iniziamo prima dal torrente Rovigo. Infatti, benché la Val d’Inferno sia la via d’accesso più interessante, si può arrivare al torrente percorrendo solo l’ultimo chilometro su mulattiera ben battuta che qualcuno attrezzato di fuoristrada percorre direttamente in auto (nonostante il divieto).
Per raggiungerlo da questa via breve, da Firenzuola si segue la via Imolese e dopo qualche chilometro si svolta a destra verso Casetta di Tiara. La strada si incunea nelle gole del Rovigo: a un netto tornante, prima che la strada inizi a salire decisamente verso Casette, si parcheggia e a piedi si segue la strada sterrata accanto la vecchia casa alla curva. Dopo una breve discesa, e dopo un ponticino, siamo sul sentiero, da seguire verso monte, cioè verso sinistra. Questo brevissimo percorso può essere fatto anche da bambini di 3 anni ma non è agevole per carrozzine e passeggini.

Il sentiero
Si parte dalla Badia di Moscheta, nota sopratutto per il suo ristorante “radical Toscano” (un cartello avverte: non si serve bistecca ben cotta!) e per il bellissimo maneggio che organizza passeggiate nella campagna circostante.
Paradossalmente le uniche difficoltà del sentiero sono nel rintracciarne l’inizio. Si può parcheggiare nei pressi di un ponticino sotto la Badia (a Osteto, poche centinaia di metri prima di Moscheta, girare a sinistra) oppure dalla Badia stessa passare a piedi dal ristorante e proseguire: il sentiero è marcato con il simbolo di due triangoli sovrapposti, bianco e rosso, oltre che con il classico segnavia CAI numero 713. Presso una vecchia casa si sale una scaletta sulla destra e finalmente il sentiero ha inizio.
Come detto il percorso è sempre ben curato, agevole e mai pericoloso, visto che nei punti più scoscesi è stato protetto con una staccionata in legno che fa anche da corrimano.
Si cammina in mezzo al bosco, tra alte pareti scoscese, di quando in quando incontrando i segni di una attività umana ormai passata: essiccatoi di castagne, piccole coloniche, carbonaie.
La quota non è elevata, tra i 500 e i 600 metri, ma la copertura del bosco e la vicinanza dei torrenti rendono la passeggiata piacevole anche nelle giornate più afose, anche ricordando che al mattino il percorso è tutto in ombra.
Il percorso procede con saliscendi mai faticosi, che nel complesso smaltiscono 250 metri di dislivello in discesa (da ripercorrere in salita al ritorno!) su una distanza di 4 Km, quindi senza mai strappi.
Calcolare comunque un’ora e mezza all’andata e circa due ore per il ritorno a velocità bambino. Il sentiero è comunque agibile anche da bambini dai 4-5 anni, essendo il fondo sempre comodo.

La cascata
Vedrete indicazioni per la cascata. Si tratta della cascata del Torrente Rovigo, raggiungibile con un sentiero (segnavia 711) che risale il torrente per 3 Km. Un paio di punti del sentiero sono delicati e scoscesi, fare attenzione con i bambini più piccoli.
La cascata scorre in un anfiteatro di rocce a tetto, qua e là inquietantemente a sbalzo, e crea una profonda piscina di acqua freddissima e pulitissima.

Quando i santi perdevano la pazienza
Si racconta che la Badia di Moscheta fosse fondata poco dopo l’anno Mille da San Giovanni Gualberto, monaco di sicura tempra e fede granitica, acerrimo nemico di quel peccato di simonia, cioè di vendita del perdono in cambio di beni materiali, di cui molti si macchiavano nella chiesa di allora, non ultimi il suo stesso abate e persino il vescovo di Firenze.
San Gualberto guardava dritto avanti a sé con la sicurezza che caratterizza i padri fondatori e non ebbe paura di camminare sui carboni ardenti per mostrare il favore divino nei confronti del suo progetto, la fondazione dell’Abbazia di Vallombrosa in Secchieta.
Si dice che un giorno lo stesso Gualberto desiderasse creare un nuovo monastero in Mugello e approfittasse di un terreno che gli era stato donato, in un certo Mons Ischetus, ( Monte degli Ischi, da qui il nome Moscheta); gli ischi sono le farnie, cioè le querce dalle ghiande così dolci che possono essere mangiate dagli uomini (e fino a tempi recenti da queste parti ci facevano anche una sorta di caffè).
La badia sorse ricca e prosperosa, persino troppo per i gusti del buon Santo che non aveva mai tollerato l’arricchimento della Chiesa, neppure della propria.
Abominio!
Al vedere i ricchi arredi e le casse piene d’oro il santo perse definitivamente la pazienza e invocò una punizione esemplare: il torrente straripò, provocando una gigantesca frana che spazzò via l’abbazia.
La Badia fu ricostruita con le stesse pietre ma immutata fu anche la voglia di arricchirsi. Di nuovo la furia vendicatrice del Santo si abbatté su Moscheta, procurando un terribile incendio di cui tutt’oggi permangono le tracce.
Il monastero fu definitivamente soppresso nel settecento: evidentemente il destino della Badia era segnato da sempre.

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